<h2>Ombre e Luci – il paesaggio del corpo</h2> <h4>Sala Comunale d’Arte, Trieste Piazza dell’Unità d’Italia 4</h4> <br> <h5>10 agosto 2018 Vernisage</h5> <h5> </h5>

“Ho partecipato all’inaugurazione e relativo “vernissage” della mostra Di Armando. Opere veramente belle, molto particolari, con chiari scuri accentuati: un paesaggio di corpi che potrebbe essere realmente un paesaggio desertico africano. L’organizzazione è sta perfetta: la presentazione di Rita Marizza ha colto secondo me la personalità dell’autore e il suo messaggio. Gli Haiku di Toni Piccini recitati da due attrici con uno splendido sottofondo visivo e musicale hanno donato alla sala comunale un’atmosfera magica rendendo il tutto un’esperienza mistica.

Complimenti all’artista, a tutti coloro che hanno contribuito e dato una mano per rendere l’esperienza indimenticabile. Bravi.”
Alessandro Cumin

Ombre e Luci – il paesaggio del corpo

 

 

“Dei lavori di Armando Casalino ciò che avevo maggiormente apprezzato era
stata la serie “Ombre e Luci”, ulteriore passo d’un percorso ove costante era
stato lo scegliere come soggetti “semplici” donne e non modelle
professioniste. Donne che avrebbero potuto essere la commessa che ci dà il
pane, una traduttrice, tanto la dentista quanto la sua segretaria che ci fissa gli
appuntamenti.
In quegli scatti la luce illuminava singole parti di un corpo e lasciava che
l’ombra ne nascondesse le altre, in un’originalità che si faceva notare grazie a
quel sapiente equilibrio di presenza e assenza, senza con ciò sminuire il
soggetto fotografato.
Prima di vedere le opere che compongono l’attuale mostra mi aspettavo un
passo in avanti rispetto a quella serie: mi sono invece trovato davanti a
immagini che mostrano un marcato salto di livello compiuto da Casalino in
questi ultimi anni. Fedele al suo non non ricorrere a modelle, l’artista ci
propone foto in cui, grazie a un’affinata armonia, tra ombra e luce fa affiorare
le parti del corpo femminile in modo molto meno marcato rispetto al passato,
quasi a farne di ognuna un ritratto pur senza che vi sia in esse alcun volto. Il
risultato è che l’insieme valica gli occhi e ci porta a domande indefinibili a
parole e che proprio per questo vanno ancor più nel profondo.
“Il paesaggio del corpo” sottotitola l’autore, quasi a indicare che le immagini
vanno a toccare, raggiungere il nostro paesaggio interiore, come iconiche
scintille cui lasciar accendere il nostro legno.”
Toni Piccini

 

di seguito la recensione di Rita Marizza che ha aperto la serata

10 agosto 2018 – Galleria Comunale d’Arte – Trieste
Ho già avuto il piacere di presentare altre mostre fotografiche di Armando
Casalino, mostre sempre incentrate sulle tematiche che a lui stanno profondamente
a cuore e che costituiscono ormai da anni la sua poetica espressiva: la Donna e le
problematiche socio-culturali legate alla gestione del corpo femminile e alla
femminilità in generale.
Le opere che vediamo qui esposte rappresentano soltanto la classica punta
dell’iceberg di una lunga ricerca e di un lungo lavoro, fattori che caratterizzano
sempre il lavoro di questo artista. Infatti osservando queste immagini vediamo che
nulla è lasciato al caso ma è frutto di meditazione sia sulle tematiche rappresentate
che sulla composizione e realizzazione artistica dell’immagine.
Perciò è sempre un’emozione particolare parlare delle opere di questo artista, per le
quali, già in una precedente presentazione, avevo detto riduttivo o inesatto definirle
solamente “fotografie”. Più preciso, in effetti, è dire che Armando “usa il medium
fotografico per guardare con il suo obiettivo una realtà…che va oltre il visibile”,
rappresentando corpi (il visibile) per narrare però le passioni, le emozioni, i drammi
da cui sono investiti (il non visibile).
Con questa sua nuova produzione l’artista ci porta nella dimensione “paesaggio”,
cioè il “fuori” di noi, per raccontare il “dentro”. Egli apre, così, delle “finestre” o,
meglio, un’unica finestra che ci offre una prospettiva su un mondo privo di spazio e
tempo, un mondo dove ombre immobili fanno emergere luci vive, palpitanti, in
continua trasformazione.
La superficie della “finestra”, però, più che fare da cornice o contornare la visione
diventa un “luogo” essa stessa, una “figura topologica… una cavità, un rilievo o una
piega”, cioè un mezzo sia della visione che del pensiero.
Direi finestra come spazio filosofico, luogo di visione e di meditazione, di silenzio
interiore. Vorrei citare Merleau Ponty per cui la visione che si effettua entro i
confini del “quadro” (o della finestra, appunto) è una “visione che cerca di
conoscersi” e di ri-conoscersi attraverso l’occhio di chi guarda, e nello stesso tempo
vuole trovare la presenza di ciò che non si vede, del nascosto che c’è nell’immagine
e in noi stessi (instaurando così un profondo rapporto tra fruitore e immagine).
E sempre per Merleau Ponty questa è “Una dialettica “Assoluta” fra visibile e
invisibile…” quell’Altrove fuori dal tempo e dallo spazio già citato.

Finestra, perciò, come superficie di profondità e modo di accesso all’invisibile
grazie alla corporeità, alla carne di colui che guarda e dell’oggetto guardato: il

corpo/paesaggio di ambedue che diviene il mezzo di comunicazione (ci ri-
conosciamo, ci comprendiamo perché siamo simili).

Infatti è stato detto che “il paesaggio è strettamente collegato al corpo…alla
soggettività. Il paesaggio si insinua nell’essenza del soggetto che lo vive, fa parte del
suo progetto di vita…diventa corpo stesso, lo costituisce sia interiormente che
esteriormente” (e questo possiamo collegarlo anche all’eterno dialogo dell’uomo
con la Natura).
Come ha asserito Gerhard Hard, geografo e naturalista, “Il (vero) paesaggio è il
risultato di un divenire, qualche cosa di organico e vivente. …E’un fenomeno…più
vicino all’occhio che alla ragione, più apparentato al cuore, all’anima, alla
sensibilità…più vicino al principio femminile che a quello maschile”.
Ed è proprio questo dualismo corpo/paesaggio che ci solletica e ci cattura
ingannando la nostra percezione, i nostri sensi.
Ci sembra, nell’infinito silenzio del buio, di percepire quasi un respiro o, forse, uno
scorrere d’acqua. Nel gioco di luci e ombre ecco che appare un brillìo: una pietra
luminosa, una goccia di sudore o forse una lacrima? E il desiderio, allora, di
toccare, di saggiare se terra o pelle. Ma il paesaggio è anche distanza, creata
proprio dalla finestra che inquadra la visione ma ne nasconde una parte
limitandone l’accesso.
Bachelard nella sua “Poetica dello spazio” disse che non è solo lo sguardo del
viandante che si posa sul paesaggio ad agire ma è il paesaggio stesso che entra nello
sguardo e lo trasforma. Ecco perché il nostro intimo è toccato profondamente dalla
bellezza di un luogo.
Ecco perché questi paesaggi/corpi di Armando Casalino si incidono
profondamente nel nostro animo e noi ci identifichiamo in essi riconoscendo la loro
poesia.
Paesaggi/corpi che diventano geografie di vita e rappresentano mappe esistenziali,
suscitano nostalgie per luoghi perduti, rievocano memorie stratificate nel tempo.
Corpi/paesaggi in cui ci identifichiamo, in cui possiamo trovare tutti i paesaggi che
abbiamo percorso e che hanno tracciato il nostro corpo, in cui troviamo ciò che ci
sembrava fosse andato perduto ma che in realtà teniamo inciso nel profondo del
cuore.
Percorsi che alla fine ci portano all’interno di noi stessi per ritrovare ciò che era
nascosto: quell’Invisibile che cercavamo.
Rita Marizza